La storia di Lucy

Voglia di fare

Capita, ed è facile che capiti sentendo sproloqui tipo l’orgoglio di esser nati in un certo posto, che ti ritrovi a pensare che di fortune, perché di questo si tratta, ne hai avute tante: sei nato nel “tempo giusto”, nel “paese giusto”, nella “famiglia giusta”, persino del “colore giusto”.
E se molte cose te le sei certo guadagnate, queste te le sei ritrovate gratis, a meriti zero. Altro che orgoglioso, debitore piuttosto, se solo pensi a tutti quelli che i guai se li sono ritrovati gratis, a colpe zero. Certo, hai sempre fatto la tua parte tassandoti il giusto ma te lo puoi permettere, non ti sei mai privato di niente e non hai mai sofferto per questo: il debito resta.
Capita allora che ti ritrovi a pensare che, dato che hai tempo, mezzi e capacità, prendi e vai e, per un po’, metti tutto a disposizione di chi sai non esser nato nel “tempo giusto”, nel “paese giusto”, nella “famiglia giusta”, del “colore giusto”.

Ed è così che, con tanta voglia di fare, ti ritrovi in un orfanotrofio a Muyeye, distretto di Malindi, Kenya.


Cosa fare

il villaggio è fatto di capanne, quelle vere di fango e paglia; pieno di bambini cenciosi e sorridenti che ti chiedono solo una foto e una caramella e che questa sera troveranno solo un po’ di polenta, se va bene.
AIDS, mancanza di risorse e di lavoro, povertà e malattie, prostituzione giovanile e mancanza di qualsiasi politica assistenziale fanno sì che, per un grande numero di bambini, il destino sia quello di rimanere orfani e comunque di non poter essere accuditi.
Se va bene i bambini vengono accolti in orfanotrofi e assistiti da associazioni di volontari; altrimenti crescono per strada allo stato brado, vivendo di elemosina e nel costante pericolo di finire nelle mani di personaggi senza scrupoli.
A Muyeye esistono vari orfanotrofi gestiti da volontari africani: il tuo è uno di questi.
Tanta la volontà, tanta la voglia di fare, ma scarse le risorse necessarie per mantenere le strutture o costruirne di migliori.
Comunque, ora ci sei anche tu e qualcosa in più si potrà fare. Già, ma cosa? Ridicolo: serve tutto, sei pronto a far tutto e questo è il problema? Non ci avevi pensato ma quello in cui sei bravo qui, sul campo, serve a poco. Servirà dietro la prima linea, ma questo lo capirai a suo tempo. Quello che c’è da fare di pratico è più produttivo lasciarlo fare ai locali. Basta fare due conti: quello che spendi in due giorni per vitto e alloggio nella guest house in cui ti sei sistemato, qui vale un mese di salario. E per quanto tu ti voglia dar da fare, due tuoi giorni non valgono un mese di lavoro di un altro che, oltretutto, con quel lavoro manterrebbe la sua famiglia.
Ben presto ti rendi anche conto che con quello che hai investito nella tua “voglia di fare qualcosa” assicuravi un anno di mantenimento e di studio ad almeno 4 orfani.

Ed è così che, con tanta voglia di fare, ti ritrovi in un orfanotrofio a Muyeye, distretto di Malindi, Kenya, con il dubbio di aver sbagliato.


Fare qualcosa

Beh, non sarai utile per tirare su un muro o per cucinare un po’ di polenta – anche se più avanti ti cimenterai in una apprezzatissima megaspaghettata al ragù per 70 preparata sui carboni – ma sei venuto qui pensando ai bambini e con loro ci hai sempre saputo fare; allora metti da parte i dubbi e ti butti. All’inizio sono un po’ chiusi, timidi, timorosi; ma ci vuole poco a rompere il ghiaccio con questi figli di nessuno: subito ti si stringono vicino, soprattutto i più piccolini, per farti sentire che loro ci sono!
E tu, ci sei? Capiscono subito che sei sinceramente interessato a loro e che si possono fidare, giusto il tempo che tu ci metti a capire che loro chiedono solo un po’ di considerazione.
A questo punto tutto sarà semplice, anche comunicare in un improbabile idioma italo-anglo-swahili; e saranno giorni indimenticabili, sempre uguali, mai monotoni.
In fondo non fai niente di speciale, né di particolarmente difficile, né tantomeno di importante: ti occupi un po’ dei piccolini che non vanno a scuola; per lo più giochi e fai giocare, fai cantare e disegnare, consoli chi si sbuccia un ginocchio con una caramella, cose da poco insomma.
Ma in giro c’è allegria e tanto basta. Ovviamente non c’è solo allegria: siamo pur sempre in un orfanotrofio di un villaggio africano estremamente povero, mica nell’asilo vicino casa, quello di cui non ci piace il menu. Qui è facile che i bambini non se la cavino con una influenza.
Può succedere così che ti ritrovi a portare un bambino sieropositivo in “ospedale”, aspettare che qualcuno lo visiti, uscire dall’ospedale per andare in una farmacia (protetta da sbarre!) a comprare il medicinale che serve (a poco), portarlo in ospedale e consegnarlo al medico, riportarti via il bambino. E che la fortuna lo assista.
Capita così che scopri che quel medicinale che in Italia costa 11 euro – lo verifichi subito al ritorno – qui lo hai pagato l’equivalente di 32 euro! AUGMENTIN si chiama, sai mai che saperlo non aiuti qualcuno a vergognarsi il giusto.
Stavolta c’eri tu ed è andata, ma la prossima?

Ed è così che, con tanta voglia di fare, ti ritrovi in un orfanotrofio a Muyeye, distretto di Maldiindi, Kenya, e cominci a pensare che forse non hai sbagliato.

Fare sorridere

Ogni mattina arrivi e ti siedi sul muretto; un po’ alla volta si avvicinano i piccolini e tu tiri fuori quello che hai portato: i palloncini, o le trombette, o i foglietti e le matite per giocare a battaglia navale, o quello che è. Tu cerchi di spiegare, loro cercano di imparare e va come va: quasi niente riesce come dovrebbe, ma va bene lo stesso, anzi, sembra che gli errori siano la parte più divertente.
E tutti ridono, anzi no…….. quasi tutti.
È successo il primo mattino: rotto il ghiaccio, tutti volevano la loro trombetta, tutti tranne una bambina che preferiva starsene in disparte, seria e silenziosa. Beh ci può stare ti dici, è solo una, e c’è tempo. La mattinata se ne va così e, a trombette distrutte, arriva l’ora di pranzo; tutti a mensa dunque.
Come c’è da aspettarsi l’appetito non manca e i piatti di polenta e verdura (e saranno sempre quelli) si svuotano rapidamente, tutti tranne uno. Dietro una colonna, ancora in disparte, la bambina seria e silenziosa sembra non essere interessata nemmeno a mangiare.
Ti avvicini, lei non ti guarda.
Ti siedi accanto, lei non ti guarda.
Te la metti sulle ginocchia, lei non ti guarda.
Prendi il cucchiaio e provi ad imboccarla, lei ti lascia fare ma non ti guarda.
Alla fine se ne va, sola, seria e silenziosa.
Ti informi: si tratta di Lucy, 4 anni vissuti da schifo: un padre mai conosciuto, una madre cieca vissuta di elemosine, sola e ammalata di AIDS, che appena prima di morire ha cercato in orfanotrofio un minimo di futuro per la figlia. Certo che non ride!
Non puoi non prendertela a cuore e nel pomeriggio la avvicini più volte, ed ogni volta ci provi: “LUCY SMILE” le dici, cercando il più scontato compromesso tra il tuo italiano e il suo swahili, ma niente.
Gli altri bambini si accorgono di queste manovre e comincia quello che sarà un tormentone:

LUCY SMILE… LUCY SMILE… LUCY SMILE…  Niente!
Non puoi che riprovarci e, giorno dopo giorno, la imbocchi, la prendi per mano, te la tieni accanto, provi persino a corromperla con dosi extra di caramelle.
Non sei solo, tutti gli altri piccoletti, lungi dall’esser gelosi, hanno capito e partecipano con il solito coretto di sottofondo: LUCY SMILE…  LUCY SMILE… LUCY SMILE…

È successo il pomeriggio del quarto giorno: alle prese con un lungo palloncino che non voleva saperne di trasformarsi in muso di coniglio come da istruzioni, senti una vocina che chiama: “PAULO”.
Ti giri, è Lucy con una palla in mano; lei ti guarda e te la tira; tu la raccogli e gliela ritiri.
Poi si avvicina e ti prende per mano!
Poi ti chiede una caramella! Poi, finalmente, sorride!

Ed è così che con tanta voglia di fare ti ritrovi in un orfanotrofio a Muyeye, distretto di Malindi, Kenya, e sai di non aver sbagliato.


Fare un progetto

Lucy ha sorriso, lo vivi come un successo, e lo è perbacco! Ma ti rendi subito conto che non può bastare: a 18 anni Lucy dovrà lasciare l’ambiente “protetto” dell’orfanotrofio e tornare fuori, e allora: potrà continuare a sorridere?
Perché si creino le condizioni necessarie, seppur largamente insufficienti, serve un progetto che, da una parte assicuri protezione e sostentamento, dall’altra permetta di portare a termine almeno un ciclo completo di istruzione primaria di una certa qualità.
Ti rendi conto che questi orfani, se assistiti solo nei bisogni fondamentali, rischiano di essere rigettati nella mischia con una marcia in meno perchè non hanno sviluppato gli anticorpi per lottare nella miseria che la vita del mondo reale riproporrà loro.
Serve invece dotarli di una marcia in più e non solo per il loro bene, ma anche per il bene di chi potrebbero a loro volta aiutare, se messi in grado di farlo.
Te lo dimostra il direttore della scuola che contatti per vedere cosa si può fare e che, orfano, ha potuto studiare grazie all’aiuto di qualche sconosciuto benefattore. Oggi ha messo in piedi una scuola che funziona, in cui accoglie parecchi orfani e dà lavoro ad una decina di insegnanti.
Probabilmente scopri l’acqua calda, ma ti è chiaro che, così come serve la polenta quale strumento di sostentamento, serve anche l’istruzione quale strumento di emancipazione e riscatto. Solo così chi è stato aiutato può sperare di emergere pronto, speriamo, a farsi ingranaggio di un meccanismo virtuoso in cui l’aiutato, aiuterà.
Certo, non potrà che richiedere tempi lunghi, ma non importa: il futuro si costruisce un giorno alla volta!
Bene, allora decidi che se ci credi, e ci credi, devi darti da fare e, nel tuo piccolo, lanciare questo progetto. Certo, non potrà che essere limitato, ma non importa: il futuro si costruisce un passo alla volta!
È scontato: non potrà che essere il “Progetto Lucy Smile“.  Si tratterà di raccontare quello che ti è successo e mostrare la gioia che potrebbe dare il poter vedere che anche “Samuel Smile”, o che anche “Mercy Smile”, o che anche “Gioshua Smile”, o che anche …………………………

Ed è così che, con tanta voglia di fare, ti ritrovi in un orfanotrofio a Muyeye, distretto di Malindi, Kenya, e, nel partire, capisci.