La storia del Mwana

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Tutto comincia nel villaggio di Muyeye (distretto di Malindi, Kenya) quando, verso il 2000, una carissima amica di Agnes Mshambala viene a mancare insieme al marito, lasciando soli i sette figli. Senza pensarci troppo su Agnes decide di prendersene cura. In questo non rimarrà sola: un gruppo di 15 giovani donne e 5 uomini del villaggio si uniscono a lei e, insieme, prendono una casa in affitto, quella che può esser definita “casa” nel villaggio di Muyeye: nasce così il futuro orfanotrofio.

I bambini di quel nucleo iniziale sono ormai cresciuti ma non dimenticano questa storia e si fanno vivi di quando in quando.
I mezzi erano quello che erano, paurosamente tendenti allo zero, le difficoltà enormi: si pensi a cosa può significare chiedere la carità in un contesto di povertà assoluta. Il lavoro era chiaramente duro anche perché, un po’ alla volta, l’originario gruppo di volontari finì con il ridursi a tre persone: Susan, Florence ed Agnes.

Fortunatamente c’era anche qualche bianco che si dava da fare. Uno di questi, un certo Giovanni fece conoscere l’iniziativa ad una amica che contribuì donando del denaro per affitto e cibo e che, una volta tornata in Italia, si attivò per raccogliere fondi, ottenendo un discreto successo.

Con il denaro così raccolto questa signora, rientrata in Kenya, riuscì ad acquistare un lotto di terreno e ad iniziare la costruzione di una nuova sede per l’orfanotrofio. Con stupore il gruppo dei fondatori dovette prendere atto che tutto veniva intestato non all’orfanotrofio, come ci si sarebbe aspettati, ma alla stessa signora che, per tutto un lungo periodo, continuò ad affermare che era così solo in via provvisoria.

Purtroppo la cosa andrà diversamente: terminata la costruzione, la signora comunica di aver deciso di cambiare regole e nome all’orfanotrofio. La inevitabile frattura che si crea con il gruppo dei fondatori sfocia in una brutta discussione in cui a questi viene notificato che a loro nome non risulta ne’ risulterà mai nulla: il terreno, l’immobile e i conti correnti sono e resteranno a suo nome, loro debbono considerarsi semplici lavoranti. Susan reagisce immediatamente: se ne va sbattendo la porta, ma prontamente informa i vecchi sponsor e col loro aiuto si sposta a Watamu dove apre un nuovo orfanotrofio.
Florence reagisce ritirandosi da ogni attività.

Agnes non reagisce, lei sente di non avere scelta:  c’è quel legame affettivo con i figli della sua vecchia amica che sceglie per lei. Ritiene quindi che il modo migliore di aiutare i “suoi bambini” sia quello di continuare a fare il suo lavoro per loro: decide di rimanere, nonostante tutto. Brutto l’epilogo: dopo sei mesi, senza preavviso viene convocata ad una riunione dove si trova sola di fronte a venti italiani e viene licenziata.

Di quel giorno ricorda che, appena fuori dalla stanza, ha chiesto il significato (che non dimenticherà mai) della parola che tante volte aveva sentito dagli quegli italiani: “cattiva”.

A questo punto interviene il futuro marito di Agnes che la rincuora e la spinge ad  unire le loro forze e, dapprima a casa loro, poi con l’aiuto di un certo Raffaele (un italiano), che interviene con le prime mesate di affitto, aprono il nuovo orfanotrofio.

Si chiamerà Lea Mwana Children Centre (Lea Mwana significa “aver cura dei bambini”).